Avevamo vent'anni e bei sogni

 

Avevamo vent'anni e bei sogni

Torino, primi anni 80, gli “anni di piombo”. Torino era grigia, umida e illuminata da pallidi lampioni che emanavano una fredda luce gialla. Il pallore dei lampioni si fondeva con la nebbia perenne e lo smog, avvolgendo tutto e tutti in una coltre brumosa e soffocante.
A Torino c’era la Fiat e solo la Fiat. Tutti lavoravano alla Fiat, e dopo la Fiat non c’era altro da fare: pochi cinema, nessuna birreria, qualche bar, il calcio la domenica, la montagna per le famiglie borghesi. Se volevi un kebab dovevi andare a Parigi o Londra,
ma non con il Ryanair del venerdì, con un lungo viaggio che durava giorni. Chi con l’interrail e chi in autostop. Scappavamo tutti allora, usavamo le estati per allontanarci il più possibile e tutte le altre città ci sembravano bellissime, ma poi toccava tornarci in questa fredda e squallida Torino.
Le istanze politiche del 68 e degli anni 70 sembravano annegare nelle pozze di sangue lasciate dal terrorismo sui marciapiedi. Il 14 ottobre del 1980 la “marcia dei 40.000” della Fiat contro il sindacato apparì come il funerale di tutte le lotte e tutte le istanze sindacali di questo paese. Eppure... Eppure c’era un fermento sociale che ribolliva inarrestabile: nei quartieri, nei comitati, nei sindacati, nei consigli di istituto delle scuole, negli oratori, negli scout, nei circoli arci… tutta la potenza delle lotte degli anni 70 non poteva essere fermata dal fallimento della politica e si riversò nelle istanze sociali. Forse fu per quello che nella mia generazione diventammo tutti educatori … e che ci inventammo la cooperazione sociale.

Erano quattro le parole d’ordine di allora: PARTECIPAZIONE, PREVENZIONE, DEISTITUZIONALIZZAZIONE e TERRITORIO.

Le esperienze di Basaglia avevano spalancato le porte delle strutture coercitive e si andavano chiudendo i manicomi, gli istituti per l’infanzia, per i disabili e per le madri sole. Tutti dovevano tornare a vivere nel proprio territorio una vita il più possibile “normale” e reinserita nella società. Basta emarginazione e reclusione. Già da anni a Torino erano attive molte famiglie che avevano accolto i bambini figli delle famiglie che sradicate dall’emigrazione, si erano trovate in difficoltà. Si impedì che i bambini venissero allontanati e rinchiusi in quegli istituti di cui Bianca Guidetti Serra (1) aveva svelato gli orrori. E’ proprio da quelle esperienze che sono nate le prime cooperative torinesi, furono loro a rendersi conto che non era sufficiente la loro accoglienza ma che ci voleva un lavoro più esteso, più capillare, professionale, che fosse in grado di fare prevenzione e aiutasse le famiglie a gestire le difficoltà senza arrivare agli allontanamenti. Non posso che ricordare la famiglia Baffert che era attiva nel quartiere Parella e la famiglia Pidello che era attiva nel quartiere San Donato (essì perché allora non c’erano le circoscrizioni e i quartieri a Torino erano 24 e quando parlavamo di territorio intendevamo proprio quei pochi metri quadri limitati e divisi da corso Lecce). Queste e altre furono il fulcro attorno a cui si aggregarono alcuni cittadini impegnati e i tanti giovani che scelsero di fare gli educatori. Ma negli anni 80 la cooperazione sociale non esisteva, ce la inventammo (fu poi riconosciuta e legiferata nel ‘91) per riuscire a dare una struttura organizzativa alle
prime esperienze di comunità alloggio e poi di centri diurni e di educativa territoriale. Avevamo contro il sindacato che non vedeva di buon occhio la forte propulsione di volontariato, avevamo contro le cooperative “rosse” che non vedevano di buon occhio
l’appartenenza territoriale. Avevamo a favore un ente pubblico che allora gradiva la nostra voglia di sperimentare, tanto se avessimo fallito sarebbe stata colpa nostra, e se avessimo avuto successo se ne sarebbero appropriati (e così fecero… ora mettono a
gara servizi che avevamo ideato e sperimentato). La mia storia personale inizia proprio in via Passoni 18, nel novembre del 1981, che fu il mio primo posto di lavoro ma anche la mia casa (ammetto: molto volontariato) per 4 anni. Una comunità alloggio che riavvicinò alle loro case i minori che erano stati allontanati in diversi istituti del Piemonte. Alcuni collocati lì dalle solerti assistenti sociali della Fiat, per permettere alle madri di poter effettuare i loro turni in fabbrica senza problemi altri. In via Passoni 18 si andava a prendere il caffè dalle signore Catania e Poeta (che oramai saranno anzianissime) per fare “lavoro di strada”, oppure si giocava a pallone nella via con i bambini del 16 e del 14. Giravano anche gli zingari, quelli che si erano sistemati dietro al campo volo. Ho poi saputo che qualcuno del 16 gli ha “venduto” il cognome …
Furono tante le cooperative nate allora in quella che è oggi la circoscrizione Parella-Campidoglio-San Donato: la Cooperativa San Donato, Parella, La tenda, Il mio lavoro e Comunità e Quartiere. Gestivamo comunità alloggio, centri diurni, educativa territoriale, un dormitorio per senza dimora, un negozio gestito da disabili. Collaboravamo tutti allora: per definire meglio il nostro lavoro, il rapporto con l’ente pubblico e con i servizi sociali. Il lavoro di collaborazione ci portò a gestire assieme PRO.DI.GIO. un progetto di prevenzione al disagio giovanile che operava nelle strade della circoscrizione e in un centro di aggregazione aperto ai tanti “giovani a rischio” . Perché ormai non ci fermava più nessuno e dopo aver spalancato le porte dei servizi volevamo occupare anche gli
spazi, le strade. Per fare prevenzione. E’ da tutto questo intenso lavoro di confronto, collaborazione che poi sono nate le sovrastrutture: la federazione delle coop sociali in confcooperative, la nascita di alcuni consorzi… La storia è davvero lunga, quarant’anni accidenti! Mi ci vorrebbe un libro per raccontarla tutta … Ma poi non voglio raccontarla tutta, dovrei ricordarmi anche dei conflitti, a volte terribili, dei tradimenti, di quelli che si sono presi il potere e i soldi (e magari poi sono dovuti scappare all’estero inseguiti dalle denunce); mi dovrei ricordare delle cooperative che non ce l’hanno fatta e sono fallite, affogando assieme ai loro ideali… No, meglio lasciar perdere.
Oggi mi vorrei guardare intorno riappacificata con questa storia. Intanto sono qui, dopo tanti giri per il mondo, non è un caso che la mia carriera finirà proprio dove è incominciata e dove ancora mi ritrovo nel poter fare l’educatrice nel modo che mi appartiene, oggi come allora. Saldamente per strada.
Avevo vent’anni e bei sogni, oggi ho sessant’anni e posso dire che qualcuno l’ho vissuto.
E comunque mi sono sempre tanto, tanto divertita!
 
Nicoletta Salvi
 
 
(1) Bianca Guidetti Serra, Il paese dei celestini. Istituti di assistenza sotto processo, Torino, Einaudi, 1973.
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